L’archeologia e il legame con l’etno – antropologia

Un dibattito attuale nel concetto moderno di bene culturale 
Nella logica istituzionale del MiBAC
di Pierfranco Bruni*

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali già da qualche anno ha aperto delle interessanti finestre sulla storia delle minoranze linguistiche storiche presenti in Italia. Un aspetto interessante che si articola ormai su tutti i campi della programmazione e delle attività dei Beni culturali.

Sulla linea delle nuove indicazioni che si è dato il ministero, nel campo della promozione, valorizzazione e fruizione, il rapporto tra archeologia, antropologia e problematiche culturali legati all’editoria, alla diffusione di modelli di ricerca e di proposte (dai Musei alle Biblioteche) sul territorio, mi sembra un dato fondante.

Il campo di azione dei beni culturali diventa sempre più articolato. Si opera ad intreccio tra i vari “saperi” che sono presenti nella geografia delle culture territoriali ma anche tra i “saperi” istituzionali. È su questi tasselli che lavoriamo nelle diverse commissioni in sede ministeriale. Gli input dati con il Codice dei beni culturali (sul quale ho lavorato pubblicando un recente libro) permettono, anche in fase organizzativa, una funzione moderna della cultura o delle culture o meglio delle strategia culturali del Ministero.

Ha ragione il Direttore Generale Mario Resca nel sostenere l’importanza del dato valorizzante che permette di entrare in un discorso di economia della cultura vera e propria (un discorso che riprenderemo in altra occasione) soprattutto quando si parla di sistemi mussali e di valorizzare le culture grazie alle innovazioni e alle strategie valorizzanti.

Nell’ambito del rapporto archeologia – antropologia – etnologia conoscere e approfondire la storia delle presenze minoritarie può giocare un ruolo importante. I territori vivono la loro identità reinventandola, ovvero ricostruendola tassello per tassello grazie a dei processi di scavo proprio all’interno dei tessuti territoriali, che offrono sempre una chiave di lettura fondamentale per definire sia la realtà dei luoghi sia una geografia, che pongono in essere due elementi fondanti: l’etnologia e l’archeologia.

Entrambi sono modelli che offrono chiavi di lettura sia sul piano scientifico (in termini di selezione e di riselezione del materiale) sia su quello culturalmente più articolato che tocca le sfere e gli elementi modulari di una antropologia del radicamento.

È chiaro che quando si parla di etno archeologia si va nel di dentro di quel senso storico, epidermico, che coinvolge le eredità di un popolo all’interno di una identità di civiltà.

Popolo e tradizione costituiscono un profilo singolare che si manifesta grazie ad una griglia simbolica che è data non dalla percezione soltanto ma dal contatto diretto con i materiali recuperati o con quelli con i quali si è costantemente a contatto.

Ormai il concetto di antropologia non si regge da solo perché, grazie alle varie sperimentazioni scientifiche sul campo, necessita di un confronto a tutto tondo con le altre scienze. Ecco perché il legame del concetto di ethnos si consolida con quello di storia di archeologia, di geografia.

La vasta dimensione del dato geografico sul territorio incamera lo sviluppo di un pensare all’antropologia come profonda ramificazione all’interno dei sostrati culturali che vive o ha vissuto un intero complesso territoriale. I legami che l’antropologia sviluppa all’interno dei suoi processi si solidificano con un vivere la storia sia come cronaca di un evento accaduto sia come memoria sia come metodologia che è in grado di congiungere la modalità degli archetipi nell’insieme tra simboli e riti.

In questo contesto parlare di etnie, delle quali mi occupo da alcuni anni, significa anche scendere in quell’humus che tiene insieme il valore dell’etno - archeologia stessa con quella etno – storia su un versante in cui la conoscenza dei reperti ( o del reperto in se) depositati dai popoli che hanno abitato un determinato territorio risultano come l’esperienza contaminante di una eredità che si trasporta nel tempo.

Sia l’etno – archeologia che l’etno – storia non possono fare i conti, appunto, con il tempo. Ma il tempo stesso è la misura del rapporto tra popoli e civiltà. L’antropologia deve fare costantemente i conti con ciò che l’antropologia offre ma è anche vero che l’archeologia, in pari misura, non può essere più letta soltanto definendo la circoscrizione del proprio campo ma ha bisogno di una pedagogia vera e propria che è data dalla lettura antropologica.

Ecco perché il territorio oggi viene ad essere studiato analiticamente ma anche percepito grazie a due finestre che sono rappresentate, appunto, dai simboli e dai riti. Indagare sugli insediamenti significa creare una rete di indagine tra l’archeologia e la storia attraverso quel fattore significativo che viene da una visione complessiva del paesaggio. Così studiare i popoli nomadi attraverso il materiale depositato sul territorio ci porta ad una osservazione chiaramente di natura geo – archeologica le cui strutture del pensare partecipano con le strutture materiali.

L’archeologia è sempre una eredità che affiora da quel territorio che è stato che è partecipazione frequente alla storia e le tracce diventano tracciati in un intrecciarsi di fenomeni puramente etno– grafici.

In virtù di ciò si ripropone l’importanza della validità delle etnie in uno studio in cui capire la presenza di una civiltà di un popolo su un determinato territori significa in modo prioritario non dover prescindere da quella griglia mitico – archetipale che è la vera chiave di comprensione dell’intero contesto di cui ci si occupa.

Ma parlare di etnie vuol dire anche riconsiderare complessivamente sia l’archeologia in sé sia l’antropologia sia la storia e direi anche, perché non bisognerebbe escluderla, quella linguistica, che è fatta da codici simbolici veri e propri, che manifestano una derivazione prioritaria che ci permette di catturare il senso e l’orizzonte dei popoli che hanno testimoniato una civiltà.

Le etnie in fondo sono l’espressione più vera di un mosaico di posizionamenti e di strutture mentali che sanciscono la liberazione di quel nodo di Gordio insiste ancora nello scibile e che dovrebbe essere risolto in quei nuovi saperi che l’etno – archeologia deve porre come confutazione di un dato recepito sul territorio. Sostanzialmente bisogna porre al centro, come in questo caso specifico, il valore intrinseco ed estrinseco, dei legami che la cultura delle etnie sottolinea nei rapporti con le altre componenti che permettono un vero e proprio rapporto. Un museo nazionale dedicato alla storia delle minoranze linguistiche, in virtù di questo mio dire e dell’incarico che svolgo all’interno del MiBAC, sarebbe una proposta da vagliare con molta attenzione.

Il dato essenziale, comunque, è che studiare le etnie ci impone una riflessione in un passaggio emblematico che va dalla protostoria alla storia e quindi scava nella coscienza dei tre riferimenti, spesso qui citati, che sono le eredità, i popoli , il territorio. Un parlarsi per definirsi e per definire le diverse identità espresse dalle culture etno - antropologiche. Un discorso che va sostenuto e ricontestualizzato nella logica di un bene culturale non solo da tutelare ma da valorizzare e far fruire. I territori vanno fruiti. La fruizione però è data chiaramente dalla conoscenza.

1 Comment

  1. antonella accattato
    <strong>info bibliografia</strong><br />Complimenti per il vostro sito e per gli interessanti spunti di ricerca. Mi occupo di progettazione culturale e sono particolarmente interessata al tema gastronomico e alle connessioni storiche, culturali e antropologiche che ne derivano. E'possibile ricevere dei dettagli bibliografici in riferimento a quanto è riportato sul vostro sito per approfondire tale ricerca?<br />In attesa di un vostro riscontro porgo distinti saluti.<br />Grazie<br />Antonella Accattato

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