di Pierfranco BRUNI
In tutto questo, sia ieri che oggi (oggi in modo particolare per una serie di strumenti e di interventi ), il rapporto tra la ricerca i l'informazione è stato ( e lo è ancora per certi aspetti ) sede di un dialogo non sempre idilliaco. I motivi sono tanti. Ma quando si parla di informazione non ci si riferisce soltanto alla registrazione di un evento ( fatto di grande importanza sul piano di una comunicazione tra la ricerca, lo studio e l'esterno ) quanto ad una lettura più decodificabile del bene culturale stesso.
Soprattutto oggi l'approccio alla comunicazione da parte dei "beni culturali" diventa necessario perché è appunto all'interno del dato comunicativo che si aprono quelle prospettive di natura educativa. In realtà i mezzi di comunicazione sono delle agenzie pedagogiche che trasformano, in questo caso specifico, una dimensione storica e testamentaria in linguaggio e il linguaggio traduce quelle definizioni storiche e quei codici in una vera e propria manifestazione di fruibilità.
Se si parte dal presupposto che i beni culturali sono da considerarsi "elementi" della storia della civiltà e quindi sono patrimonio dei popoli non possono che leggersi attraverso la loro traducibilità. Sul piano scientifico non sono traducibili. Lo sono invece sul piano culturale. Ma nella cultura dei beni culturali ci sono i simboli che parlano. Ogni reperto si richiama a un mito. Si richiama a quell'attesa di nostalgia che soltanto culturalmente può trovare la sua espressione e la sua interazione tra storia e vita.
È necessario un dialogo più aperto tra ricerca , capacità scientifica, determinazione nella tutela e funzione partecipazione, atto educativo, precisazione nella valorizzazione. Il dialogo comunque è "antico" e si richiama non ad una separazione tra tutela e valorizzazione ma ad una sinergia che deve puntare ad una maggiore "utilità" dei beni culturali. utilità sia in termini scientifici ( finalizzata ad un progetto integrato di ricerca ), sia in termini storici (di visione complessiva in un percorso di identità ), sia in termini di fruibilità ( valorizzazione non solo dei beni culturali ma una comparazione con altri settori ).
Insomma non possono esserci campi separati che operano ognuno per proprio conto. Ecco perché la storia dei beni culturali non può essere soltanto la storia della tutela ma il discorso deve ampliarsi perché i tracciati che hanno segnato il percorso storico del bene culturale sono intrecciati da diverse manifestazioni che richiamano pagine importanti della civiltà di un popolo.
È vero i Beni culturali sono il paesaggio della nostalgia. E in questo paesaggio l'uomo incontra se stesso ma incontra soprattutto i segni di quel destino che hanno fatto il suo passato e che certamente tracceranno come hanno tracciato linee per il futuro.
Su questo piano interpretativo vanno considerati i beni culturali se li si vuole rendere partecipati. Su questo piano vanno letti. Perché ogni civiltà ha una memoria che attraversa i secoli e vive nella storia anche quando la storia viene negata. È soltanto queste testimonianze che la storia può diventare vita e la vita dei popoli può farsi voce anche tra i naufragi che viviamo e le incertezze che ci attendono.
Educare alla partecipazione in altri termini è educare all'identità della memoria, al messaggio delle civiltà e a saper percorrere una sala di un museo con la concezione vera e viva della comprensione.
Si deve continuare a discutere su questi aspetti e su questi problemi attraverso diversi progetti che devono essere fondamentalmente basati sul recupero di una identità e quindi sulla proposta di una dimensione pedagogica.
La ricerca sul piano dei beni culturali è una ricerca all'insegna della riproposta di alcuni valori e sulla possibilità di rimpossessarsi dei segni e dei luoghi. Ci sono ambienti fisici che bisogna recuperare come il territorio e gli spazi all'interno dei territori e ci sono altri ambienti che fisici non sono ma che investono la sfera della soggettività.
Quando si parla di archeologia non si parla di dispute archeologiche. Lo sosteneva con molta attenzione Foucault: "La descrizione archeologica è appunto abbandono della storia delle idee, rifiuto sistematico dei suoi postulati e delle sue procedure, tentativo di fare una storia completamente diversa di ciò che hanno detto gli uomini".
I beni culturali hanno una loro filosofia. Ed è su una base teorica che fondano la loro partecipazione nella storia. La filosofia dei beni culturali vive nel sentimento dell'appartenenza e del recupero di una civiltà che trova la sua maggiore tensione nella metafora della memoria. E questa filosofia non può che avere una pedagogia che ha una sua valenza anche sul piano estetico. Ed è qui che partecipare la storia diventa effetto di comunicazione e quindi di informazione - formazione.
Credo che pur partendo da una concezione del bene culturale inteso come restituzione di un sentire bisogna che ci si rimpossessi di una consapevolezza della storia-memoria che può essere percepita e offerta solo attraverso una operazione di sensibilizzazione che la si deve ad un modello di cultura come educazione e come interpretazione.
Interpretare significa, comunque, prima di tutto, stabilire un rapporto, ma, sostanzialmente, significa scrivere e capire la storia, in questo caso, dei beni culturali. Educare ai beni culturali è dare senso alla progettualità di una memoria che ha dentro di sé la nostalgia delle civiltà. Educazione come informazione - formazione. Un fatto che è pedagogico.
Bisogna partire da un presupposto che è essenziale. Se non si crea una cultura dei beni culturali è difficile persino poter discutere di temi e di motivi ad essi concernenti. E quando si parla di cultura si sottolinea la formazione, la partecipazione, l'educazione. Educare ai beni culturali è educare al rispetto della memoria. E' educare alla ricerca della memoria. E' convivere con la memoria e riproporla di volta in volta. Educazione alla partecipazione è anche educazione alla comprensione.