Condizione giuridica delle minoranze etno-linguistiche

di MICOL BRUNI*

La normativa relativa alla tutela delle minoranze (o presenze) linguistiche o (etno-linguistiche) in Italia, oggi in vigore, nasce da un processo di dialettica istituzionale e culturale abbastanza variegato e articolato anche sul piano delle valenze giuridiche. Nella realtà attuale è ormai una certezza giuridica che le minoranze linguistiche sono dentro una dimensione istituzionale in cui tutela e valorizzazione rappresentano un punto di sicuro riferimento. Ma alla legge che sancisce tale tutela (la legge n. 482/1999) si è giunti dopo un significativo raccordo parlamentare che ha innescato un confronto politico e istituzionale tra le varie scuole di pensiero.

Il dibattito sulle minoranze etno - linguistiche viene affrontato già nella “Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato” nota nel linguaggio comune come Commissione Forti. E’, in particolare, nella seduta del 2 febbraio 1946 che tale Commissione affronta il problema presentato da Silvio Innocenti sulle minoranze. La Commissione arriva a una distinzione precisa : suddivide le norme generali che sono valide per tutti i cittadini perché si tratta dei diritti di eguaglianza e di libertà garantiti dalla Costituzione, e norme speciali volte alla tutela dei gruppi minoritari per salvaguardare la lingua in modo da mantenere un contatto con gli organi giudiziari con attenzione all’istruzione e allo sviluppo della cultura (1).

Diventa, quindi, importante analizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione. Un articolo, il 3 (2), che creò non poco scompiglio facendo riferimento a quel concetto di razza presente nel primo comma. Ma sia Basso che Aldo Moro tentano di spiegare quanto l’articolo cerca di sancire. Basso faceva riferimento al fatto che una volta individuati i principi di libertà e di eguaglianza potevano nascere degli ostacoli di ordine economico e sociale e, quindi, tutta la legislazione italiana doveva muoversi nel tentativo di eliminarli. Aldo Moro, facendo riferimento “ad un uguale trattamento sociale”, specifica che si tratta in realtà di un “carattere dinamico che deve avere lo Stato democratico” (3).

Inoltre il dibattito sulle minoranze si è affrontato, in seno all’Assemblea Costituente, in una seduta del 27 giugno 1947 in cui, discutendo sull’articolo 108, si prevedeva una autonomia speciale alle Regioni in cui vi erano queste presenze definite minoranze di confine, e in un’altra seduta del 1 luglio 1947 discutendo sull’articolo 108 - bis destinato poi a diventare l’articolo 6 della nostra Costituzione.

Nella storia della tutela delle minoranze etno linguistiche è importante ricordare anche la cosiddetta proposta Codignola e l’emendamento Lussu. Il primo, in sostanza era contrario al sistema degli statuti speciali, un sistema che mirava a garantire solo alcune minoranze linguistiche. Lussu invece cercò di riprendere in qualche modo la proposta di Codignola e precisò il divieto per le nascenti regioni di limitare lo sviluppo delle minoranze.

Oggi, è proprio all’interno della nostra Costituzione, in virtù dei dibattiti affrontati nell’Assemblea Costituente, che ritroviamo il concetto e la tutela delle minoranze etno linguistiche. Basti pensare all’articolo 6 della Costituzione (4). In particolare l’articolo 6 recita : “ La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.

Scompare, quindi, il termine etniche proprio per far risaltare i contenuti culturali e non nazionali e,inoltre, tale norma è una evidente applicazione dell’articolo 3, della Costituzione stessa, citato precedentemente, vietando,appunto, ogni forma di discriminazione, ma anche dell’articolo 2 ( “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. E richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”) poiché in attuazione dei principi di tolleranza e di pluralismo mette in atto una tutela positiva delle minoranze volta a salvaguardare la loro cultura e a consentire una partecipazione nella vita sociale del paese.

Sono tutti questi dibattiti ed è la Costituzione ad aprire la strada ad una legge di tutela specifica per le minoranze linguistiche che si avrà solamente nel 1999. Un ruolo molto importante è stato giocato dalla figura dell’Onorevole Fortunato Aloi, che nella seduta del 11 giugno 1998 nella Camera dei Deputati proprio in un dibattito dedicato alla difesa delle minoranze etno linguistiche nel rispetto dell’unità nazionale (parafrasando il titolo di un suo libro) e analizzando quello che diventerà l’articolo 1 della legge 482 afferma che il dato predominante per la difesa delle minoranze etno –linguistiche sta nella difesa della lingua e ribadisce il concetto secondo il quale sarebbe necessario parlare di presenze etniche e non di minoranze proprio per riconoscere a queste un portato culturale e storico (5).

In riferimento alla difesa della lingua italiana come difesa dell’unità nazionale l’Onorevole Aloi precisa la scelta dell’articolo 1 della Legge n. 482/ ’99 (6).

Difesa delle minoranze e tutela della cultura delle etnie. Si tratta di una sottolineatura di sicuro spessore che chiama in causa un rapporto che risulta fondamentale tra la presenza minoritaria in sé e la territorializzazione.

Ed è su questo rapporto che nasce la Legge n. 482 del 15 dicembre 1999 che detta “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”. Il testo, costituito da 20 articolo con un articolo, il 18 – bis, introdotto dall’articolo 23 della legge 23 febbraio 2001 n. 38, è quello approvato in via definitiva dal Senato della Repubblica il 25 novembre 1999 e pubblicato sulla G.U. del 20 dicembre 1999. Per capire di quali minoranze si parla e quali minoranze vengono tutelate bisogna leggere l’articolo 2 : “ In attuazione dell’aticolo6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quella parlanti il francese, il franco – provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”.

In riferimento a tale legge c’è da precisare, comunque, che la studiosa Caterina Brunetti ha suddiviso in gruppi linguistici le realtà minoritarie creando un vero e proprio percorso (7).

Da questo percorso è nato un vero e proprio discorso attinente gli aspetti giuridici ovvero sostenendo una posizione particolareggiata sulla necessità di tutelare le lingue come vere e proprie realtà linguistiche ed etniche all’interno del panoram,a stabilito dalla normativa (8).

È naturale, però, che non si possono scindere due fattori fondamentali: la lingua sta al “portato” antropologico come il territorio sta alla eredità etnica. Non ci sono dubbi sul fatto che una minoranza (o presenza minoritaria) vive dentro un territorio nazionale. Quindi, vivendo in un intreccio o in un incrocio di identità il valore più immediato è quello della contaminazione. I territori sono “contaminati”, ovvero esistono in quanto le culture si incontrano e realizzano un interscambio sia linguistico che etno-antropologico (9). Un elemento in più è dato da quelle minoranze che hanno una eredità “altra” rispetto alla storia della cultura occidentale. Mi riferisco in particolare agli Italo-albanesi. La cultura degli Italo-albanesi sottolinea in realtà un ponte non solo tra due mari ma, soprattutto, tra due civiltà. L’Adriatico e il Mediterraneo sono una chiave di lettura che focalizza la definizione di una vera e propria contaminazione. Questo è un aspetto fondante che tocca prospetti sia di natura culturale sia politica. Ma è proprio qui che si innesca un procedimento di ordine giuridico perché l’interscambio culturale non può sussistere se non attraverso l’analisi delle contaminazioni. Entrambi (interscambio e contaminazione) sono parte integrante di quella tutela che si garantisce soltanto attraverso delle norme prettamente giuridiche.

È naturale che, grazie al percorso normativo, bisogna sempre più tendere verso un approfondimento di tutte quelle realtà minoritarie presenti sul territorio italiano. La loro presenza, dunque, non può essere sostenuta soltanto da una motivazione o incentivazione folcloristica ma da interazioni tra la tutela e la valorizzazione di un patrimonio culturale molto più complesso e molto più diversificato. Lingua e culto rappresentano quella mediazione fondamentale per catturare modelli culturali (10). Mediazione e interazione. Non bisogna, comunque, dimenticare che i processi culturali sono sempre processi esistenziali che pongono al centro valori e significati identitari.

La lettura antropologica del territorio apre sempre una prospettiva non solo storica ma anche di natura sociologica ed etnica. Processi che pongono all’attenzione la tradizione e il linguaggio dei popoli.

In virtù della Legge n. 482/99 la prima fase dell’indagine, per fare un esempio, è rivolta alle 50 comunità Arbresh, (distribuite in sette Regioni dell’Italia: Sicilia, Calabria, Campania, Puglia, Basilicata, Abruzzo, Molise), troverà una maggiore integrazione e comparazione (e completezza) con le altre 11 popolazioni (catalane, germaniche, greche slovene, croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo) che formano un percorso di lettura storica, antropologica e culturale in senso generale di tutte le minoranze etno-linguistiche presenti, secondo la normativa, in Italia. Il discorso sulla cultura etno-linguistica va, comunque, considerata e studiata in una visione di studi globali.

Ciò ci permetterebbe non solo di fotografare la “geografia” culturale delle minoranze sommerse (una radiografia indirizzata al patrimonio dei beni culturali) che hanno avuto, comunque, una loro base solida nella storia delle varie Regioni d’Italia ma ci permetterebbe di realizzare una mappatura di quei beni culturali presenti nella comunità italiana, la cui lingua, la storia e la tradizione hanno una eredità eterogenea.

Attualmente le popolazioni cosiddette “minoritarie” (minoranza etno-linguistica) ammonterebbero a circa il 5% dell’intera popolazione. Sono diverse le popolazioni e le etnie di tradizione e lingua non italiana presenti nel nostro territorio e sono distribuite in diverse Regioni come (si riportano degli esempi esplicativi):

∑ la Sardegna (Catalani, Sardi);

∑ la Sicilia (Albanesi);

∑ la Calabria (Albanesi, Neogreci, Provenzali, Zingari Rom);

∑ la Puglia (Albanesi, Neogreci e Franco-provenzali);

∑ la Campania (Albanesi);

∑ il Molise (Albanesi e Croati);

∑ Abruzzo (Albanesi, Zingari Rom);

∑ Friuli-Venezia Giulia (Ladini, Sloveni, Tedeschi);

∑ Veneto (Ladini, Cimbri o Tautsch);

∑ Trentino e Alto Adice (Tedeschi, Ladini);

∑ Lombardia (Zingari Sinti);

∑ Piemonte (Occitani, Franco-provenzali, Walser, Zingari Sinti);

∑ Valle d'Aosta (Francesi, Franco-provenzali, Walser).

Ogni realtà minoritaria ha una storia “particolare” anche dal punto di vista patrimoniale-culturale, come si può notare con il mondo arbresh. Non è questione soltanto di lingua (ci troviamo in un contesto di cultura indo-europea) ma di patrimonio culturale e storico, che andrebbe ricontestualizzato in un quadro generale inerente la cultura dei “nuovi saperi”. I nuovi saperi sono parte integrante di un procedimento giuridico che pone all’attenzione una e vera e propria serie di normative inerenti la tutela dei popoli “altri” che si trovano, per diversi motivi, all’interno del territorio italiano.

Il territorio italiano in riferimento alla questione relativa alle presenze minoritarie si è sempre confrontato sulle tematiche legate alla tutela sulla base di riferimenti giuridici. Infatti, la Legge n. 482/99 è il risultato di una serie di interventi normativi accolti su scala regionale. Non solo le regioni a statuto autonomo hanno adottato delle precise costanti giuridiche ma anche quelle regioni le cui presenze minoritarie hanno una loro incisività politico-culturale, hanno definito dei percorsi giuridici in materia di tutela determinando sempre un confronto tra diritti e doveri all’interno del territorio alla luce sempre di una specificità di norme e in varie interazioni tra identità nazionale e processi derivanti dall’ethnos di fondo delle comunità cosiddette minoritarie.

Il popolo italo-albanese ha una sua dimensione precisa nel contesto delle proposte di una giurisprudenza di tutela. Proprio con le capitolazioni sono stati siglati i primi “patti” giuridici e i primi raccordi tra popoli emigranti e territori accetanti.

È sulla base di queste accordi giuridici che gli Albanesi sono successivamente approdati nei vari territori. Non per caso è quel popolo che si presenta ben articolato nel territorio meridionale in una regionalizzazione non ad escludere ma ad includere. Infatti, le regioni nelle quali sono presenti gli Italo-albanesi hanno sempre cercato di sviluppare un dibattito giuridico della tutela delle minoranza linguistiche.

In Calabria più volte si è tentato di definire tale quadro ed è naturale che l’atto giuridico, in questo caso, ha un senso se la presenza culturale di una determinata etnia ha una sua forte e consistente dimensione radicante nella cultura di appartenenza e quindi in un processo di integrazione tra elementi direttamente giurisprudenziali e propriamente culturali.

Note
(1) Cfr. Brunetti , C., La condizione giuridica delle minoranze linguistiche. Esame antologico di un diritto negato, Edizioni Vatra, Cosenza, 1985.

( 2) Art. 3 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. / E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

(3) Brunetti, C., op. cit..

(4) Art. 6 Cost. “ La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.

(5) Aloi, F., “…ho presentato una serie di emendamenti che si muovono in direzione della salvaguardia del valore centrale, essenziale della lingua italiana. Ma abbiamo presentato, oltre alla proposta di legge che risulta parte integrante del testo, anche una serie di emendamenti per salvaguardare il diritto di quelle che non definiscono minoranze, ma presenze etnico – linguistiche e quindi culturali. Infatti, la presenza di un gruppo etnico in una certa area può sembrare minoritaria, ma di fatto costituisce il momento culturale più importante della zona e quindi l’espressione di tradizioni, valori, tutta una serie di elementi che ci hanno posto in condizione di affermare che per noi si tratta di presenze etnico – linguistico – culturali”. In difesa di “minoranze” etnico – linguistiche (nel rispetto dell’unità nazionale), Poligrafia Sud, RG, pag.7.

(6) Aloi, F., “ A fronte di presenze etnico – linguistiche e culturali, che non inducono alcuna preoccupazione in ordine a fenomeni centrifughi e scissionistici, è importantissimo salvaguardare la lingua italiana. È questo il motivo per cui abbiamo fortemente voluto l’articolo 1 : la nostra lingua va difesa anche in rapporto a tutta una serie di ‘barbarismi’ di ritorno. Ribadiamo questa posizione nel solco della nostra tradizione, che pone l’Italia al centro della nostra proposta politica, sociale, culturale e morale”. op. cit., pag. 9.

(7) Brunetti, C., “I gruppi minoritari possono essere suddivisi, a loro volta, sostanzialmente in tre fasce: la prima è quella delle minoranze di confine: cioè di gruppi linguistici parlanti il medesimo idioma di uno stato confinante con il territorio della Repubblica italiana. Tale è il caso del gruppo tedesco dell’Alto Adige, degli sloveni del Friuli e, con alcuni elementi di peculiarità, dei francesi della Val d’Aosta. La seconda è quella dei gruppi linguistici minoritari inseriti all’interno del territorio della Repubblica in seguito ad emigrazioni e diaspore, come è il caso degli albanesi del Mezzogiorno d’Italia (con qualche eccezione del Nord), dei serbo-croati nel Molise, degli occitani in Calabria, degli zingari diffusi su quasi tutto il territorio nazionale, dei catalani in Sardegna. La terza è costituita dai gruppi ‘residuali’: è il caso degli occitani delle zone occidentali del Piemonte, della Liguria e della Calabria, dei ladini del trentino Alto Adige, dei grecanici della Calabria e della Puglia. A questa stessa fascia possono essere ricondotte le situazioni del Friuli e della Sardegna in cui parlata e cultura delle relative popolazioni non sono state ridotte in condizioni di estrema subalternità come, invece, purtroppo, è avvenuto per i gruppi precedentemente citati nella terza fascia” , op. cit., pagg.11-12.

(8) “Estremamente variegate sono le misure di tutela di cui beneficiano queste minoranze e cospicue, come vedremo, sono le disparità di trattamento. Questa differenza deriva anche dalla differenziata posizione dei gruppi minoritari, divisi tra minoranze di confine e minoranze ‘interne’. Per quest’ultime occorre ricordare che esse possono essere divise in minoranze che parlano una lingua ufficiale di uno Stato sovrano (è il caso degli albanesi, dei serbo-croati, dei catalani la cui lingua è in condizioni di semi-ufficialità in Spagna, dei grecanici anche se la loro parlata differisce da quella greca-moderna) e minoranze linguistiche la cui parlata non è usata in alcun altro Stato indipendente (questo è il caso dei sardi…) per cui si tenta di qualificarle come dialetti. Questo secondo gruppo viene a trovarsi, così, in una posizione particolare: ossia, da un lato, manca come riferimento una struttura statale indipendente di madre-lingua, tale da catalogarle come minoranze linguistiche e, dall’altro, esso si caratterizza come un radicamento e una sensibilità popolare da cui scaturisce una forte esigenza di identificazione linguistica e culturale” Brunetti, C.,op. cit.,pag.13.

(9) “Da questo punto di vista occorrerà prendere atto che la stessa idea di Nazione, nell’esperienza occidentale espressione di uno Stato sovrano che costruisce e legittima la propria sovranità sulla base del consenso fornito da una società pluralista composta da più comunità (anche etniche), nell’esperienza dell’oriente balcanico è basata su una idea di prevalenza dell’etnia e di tutti gli elementi (lingua, religione, tradizione, regole giuridiche) di cui essa si compone, nella prospettiva di assicurare la permanenza nel tempo della identità. In una prospettiva di precarietà storica dettata dal prolungarsi nei secoli di una condizione di sottomissione, ancorché a diversi padroni, solo sporadicamente aperta a momenti di libertà, la nazione ha costituito e costituisce la memoria storica di una identità, il luogo di conservazione di valori della persona umana. Questa è riconosciuta dalla comunità di appartenenza (sovente organizzata in forma clanica) come dotata di dignità derivata non solo e non tanto dal fatto di essere persona umana ma quanto dal fatto stesso di essere parte essenziale di una comunità più ampia, caratterizzata da gerarchie di valori, sistemi relazionali, patrimonio culturale e di tradizioni, sostanzialmente finalizzati alla sopravvivenza dell’uomo in uno spazio geografico”, Dammacco, G., “ L’Europa balcanica diritti umani e religione tra identità e libertà” in Dammacco, G., Diritti umani e fattore religioso nel sistema multiculturale euromediterraneo, Cacucci Editore, Bari, 2001, pagg. 83 – 84.

(10) “La perdita della lingua albanese, che seguì quella del rito bizantino greco, è dovuta all’afflusso di popolazione italiana, alla vicinanza con paesi italiani (…) Responsabilità da addebitare non tanto alle differenze tra il rito bizantino e quello latino, ma tra il pensiero cattolico e quello ortodosso. Infatti il rito non implica la spiritualità di un individuo ma il modo di manifestare, attraverso il culto, la propria fede”, Giordano, A.,“L’eredità arbëreshe nel tarantino” in La Puglia arbëreshe, grecanica, franco – provenzale, MiBAC, Centro studi e Ricerche “Francesco Grisi”, 2009, pag. 63.

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