Ancora un riconoscimento per l’artista catanzarese Salvatore Falbo. Infatti nella seduta della Giunta comunale di Catanzaro del 22 maggio 2006, presieduta dal sindaco facente funzione dott. Pietropaolo e in base alla relazione di Elio Mauro, assessore al decentramento, si è deliberato di intitolare una Via al maestro per onorarne la memoria, a quarant’anni dalla scomparsa. Salvatore Falbo continua a interessare il pubblico per i suoi numerosi e ricercati lavori. A Palazzolo sull’Oglio l’11 febbraio 2006, il giorno della scomparsa, è stata inaugurata la mostra retrospettiva “Tra contrappunti cromatici e magiche atmosfere” e poi ripetuta nelle sale museali della rocca sforzesca di Soncino, per un mese a partire da Sabato 3 febbraio 2006. Il maestro Salvatore Falbo, scomparso nel 1965, ad appena 52 anni ha lasciato un segno indelebile nella memoria di coloro che l’hanno conosciuto sia umanamente, sia come artista. Il tempo ha sedimentato la sua arte e l’ha resa più viva e significativa che mai. Chi ha contribuito a far conoscere l’opera di Salvatore Falbo è stato il figlio Antonio Falbo, docente di Storia dell’Arte. Egli ha voluto le due rassegne retrospettive e il nipote Salvatore jr. le ha curate.
L’esposizione ha ricostruito il percorso artistico dell’autore dal 1937 al 1965, un periodo lungo e complesso per l’Italia e l’Italia meridionale e catanzarese in particolare. L’artista ha una storia personale nel meridione d’Italia: egli vive e opera a Gagliano. Dunque sono i paesaggi della Sila, i casolari, le verdi “timpe” che cerca e osserva in quell’angolo della Calabria. All’uscita dal lavoro, è ufficiale di stato civile presso il comune di Catanzaro, soprattutto nei pomeriggi di settembre - ottobre lo incontrano i suoi amici – pochi son rimasti ma i figli ed i nipoti si ricordano ancora di lui per la sua giovialità - col treppiedi pronto a “impressionare” le infinite gamme di verdi, i colori più che le forme. I suoi paesaggi sono ritratti carichi di atmosfere con forti tonalità mediterranee. Sono il riposo o l’accensione dello “sguardo”. Paesaggi misti, in cui l’elemento umano - architettonico, si dissolve nella natura, madre buona e consolatrice che lo avvolge nel suo sfondo. Le costruzioni dell’uomo si inseriscono nel paesaggio senza fargli ecologicamente violenza, ma arricchendolo di nuovi colori. Uomo e natura infatti convivono in una simbiosi perfetta. Il rosso dei tetti splende al sole insieme ai verdi ed i blu cupi della natura. I colori sanguigni della vita e le vibrazioni della sua luce intensa si mischiano in una festa della civiltà gioiosa del Mediterraneo.
Gli ultimi paesaggi hanno pennellate più corpose, quasi a esprimere con la forza della materia dipinta le inquietudini dell’artista di fronte al degrado morale prodotto da cinque anni di guerra e soprattutto dall’offuscamento delle coscienze. La poetica di Salvatore Falbo affonda nella tradizione meridionale: dal vedutismo napoletano ottocentesco e dalla scuola di Posillipo alla ricerca cromatica di Michele Cascella ma principalmente alla indagine di Francesco Paolo Michetti. Eppure egli dimostra di conoscere e applicare in modo originale anche la lezione della Scapigliatura lombarda. I ritratti ed i paesaggi, grazie alla personale elaborazione di tutte queste influenze, diventano sempre più “profondi”. Egli pertanto passa dal realismo degli inizi ad una sintesi di forma e macchia, dalla dimensione oggettiva a quella interiore del paesaggio, fino a ritrarre totalmente la “memoria”, i luoghi originari dell’infanzia. Né è un esempio l’ Interno, del 1941, il logo stesso della mostra: una stanza aperta con sedie, tavolo e quadri alla parete che nascondono la presenza umana e di cui si attende l’arrivo, una magica atmosfera appunto che si apre allo sguardo. Ma è con i suoi ritratti femminili che egli entra nell’anima dello spettatore, lo colpisce là dove è più vulnerabile: lo guarda direttamente negli occhi e ne riattiva il suo vissuto. Basti la solenne immagine della madre: è uno “sguardo” che non dà la possibilità di distrarsi. È così intenso da penetrare nella essenza magmatica dei sentimenti. Il magnetismo di questa immagine è così potente da coinvolgere emotivamente ancora oggi, in modi e profondità diversi, sia una madre, sia una figlia . È il punto più alto della sua maturazione artistica: il volto della madre viene smaterializzato in pure pulsazioni di luce.
Salvatore Falbo è riuscito dunque a sintetizzare con il suo impasto cromatico i tratti somatici e psicologici dei personaggi. Infatti la loro è sempre una fissità pensosa, fortemente espressiva che rimanda al suo interno, al suo stato d’animo e, allo stesso tempo, comunica forti emozioni allo spettatore.
I ritratti maschili invece hanno qualcosa di quasi caricaturale e tendono talora alla deformazione dei tratti somatici. Un esempio? L’autoritratto, non accettato dallo stesso autore, su sfondo rosso fegato che fa emergere una figura tesa, contraddittoria tra il vigore fulminante dello sguardo e la rigidità quasi goffa dei lineamenti.
La mostra racchiude ventisette anni di vita artistica di Salvatore Falbo, già abbastanza conosciuto e apprezzato in vita. Infatti egli partecipa a numerose mostre a Bari, a Napoli, a Firenze con notevoli riconoscimenti pubblici. Occorre riscoprirlo per la sua modernità travalicante e classicità dirompente: egli non rifiuta la forma ma la integra col colore, la macchia. Il colore infatti non serve per realizzare una rivoluzione nei contenuti – nessuna metafisica o rivoluzione informale all’orizzonte – ma un’arte che è puro lirismo, sinfonia di colori. La sua sperimentazione sta proprio nell’accostamento dei colori, nei giochi di luce, nei rapporti tra i colori.