PIERFRANCO BRUNI. DIBATTITO SULLA LINGUA

 Non solo autorevolezza ma anche autonomia della lingua italiana
Come lingua di una Nazione
Un dibattito aperto
L’importante ruolo della “Dante Alighieri”

di Pierfranco Bruni

Il dibattito intorno alla purezza della lingua italiana trova una nuova e vivace dialettica proprio in questi giorni grazie ad un articolo di Carla Marello pubblicato sul supplemento de “La Stampa”, “Tuttolibri”, la settimana scorsa. L’impostazione mi sembra congeniale per una verifica non solo sulla tanto auspicata purezza quanto sui rapporti tra lingua e storia o meglio, più in generale, tra lingua e culture, ovvero culture altre che si sono ben integrate all’interno del nostro contesto nazionale. Partiamo da un presupposto fondamentale. La lingua è dentro la storia di un popolo. Un popolo diventa modello di civiltà attraverso la lingua e le eredità che si porta dentro e le tradizioni che “esporta” diventano elementi comunicativi. La comunicazione che resta, al di là delle altre componenti, si registra proprio attraverso la lingua. La lingua è chiaramente una sorgente. 

Ora si riapre il dibattito. La Società Dante Alighieri, la sede Nazionale, ha fatto bene ad inserirsi in una “lezione” che riguarda tutta la storia italiana. Il suo ruolo è stato ed è di straordinaria precisione nel rapporto tra tutela della lingua ed identità linguistica stessa. Non si può prescindere da un discorso che tocca l’Unità d’Italia se non si riequilibrano i rapporti tra la lingua italiana e gli innesti provenienti principalmente dalla lingua inglese. Il confronto resta utile ma perché insistere con termini di “specificazione” che rimandano direttamente ad un'altra lingua. È come se all’Italiano mancassero alcuni stilemi, alcune parole o è come se il vocabolario della lingua italiana fosse priva di alcuni termini. Più volte discussa la questione relativa alla “purezza” della lingua italiana e più volte il problema si è posto e si pone in termini soltanto linguistici. Credo che sia necessario intavolare una discussione in merito ad un rapporto che interessi sempre più i “valori” e i termini contaminanti delle lingue stesse.
Un fatto deve essere chiaro e su questo bisognerebbe insistere con forza. Gli anglismi non aiutano a determinare la lingua italiana come lingua autorevole in un contesto europeo e non solo. Le contaminazioni sono altre e riguardano legami sia di natura linguistica vera e propria sia in ordine ad una chiave di lettura antropologica della lingua stessa. Ma qui entra in campo una disciplina che ha i connotati dell’etno – lingua che mi sta bene sul piano della valenza antropologica. Ma l’italiano “spaccato” con il linguaggio (perché in fondo non si tratta di un incontro con l’inglese e l’americano) dei cosiddetti anglismi impoverisce la ricerca non solo e non tanto della purezza quanto del bisogno identitario di una lingua che non può erodere la sua eredità con formule “bastarde” di inserimenti di parole provenienti da altri vocabolari. L’identità della lingua sta nella sua viva manifestazione di un percorso storico vissuto all’interno della propria storia nazionale. Proprio da questo punto di vista credo che la lingua italiana deve impossessarsi della sua storia e non solo di quella politica o geografica ma soprattutto di quella linguistica. La letteratura, in questo spazio di discussione, gioca ancora un ruolo significativo.
Ma bisogna anche intendersi sui valori della letteratura. Certo, non possiamo fare a meno di formule che provengono direttamente dalle strutture telematiche americane. È vero. Ma noi possiamo mettere in campo quelle capacità di traducibilità che rendono nobile alcuni termini. Comunque non si può essere fini intellettuali se non si pronunciano almeno, in un breve discorso, cinque parole inglesi. Non saremmo uomini di mondo ma di montagne sì. Nei miei incontri e nelle mie relazioni nei Paesi esteri ho sempre parlato in lingua italiana senza mai aggiungere alcun anglismo o altri francesismi o elementi spagnoleggianti o sillogismi di altra natura.
Sì, è vero che il pubblico che mi trovo davanti, nei miei viaggi, non è di lingua italiana ma è anche vero che io promuovo la lingua e la cultura italiana e mi sento il dovere di parlare, parlare bene, in lingua italiana. Al di là dell’essere sorgente o meno, al di là dell’eredità dantesca la lingua italiana è la storia di un popolo e quindi come tale resta la storia di una civiltà che si intreccia con le culture che la abitano. Questo non vuol dire, però, che possa e debba perdere la sua identità. Fa paura oggi parlare di identità. Ma dovremmo cercare di ripristinare alcuni concetti che possono dare il senso ai territori, alle appartenenze, alle vere geografie dell’esistenza di un popolo. Riferimenti attraverso i quali tutelare la storia di un popolo dentro la capacità di rendere realmente storia la civiltà della lingua. Si parla dell’Unità d’Italia ma la discussione intorno al Risorgimento mancato o incompiuto (secondo le interpretazioni storiche più alternative o alterate) non deve mettere in discussione l’unità della lingua non attraverso la dialettica delle lingue minoritarie e la lingua ufficiale o tra lingua e dialetti.
Piuttosto in un raccordo tra lingua italiana, matrice ed ereditiera ed eredità comunitaria, e lingua inglese. Il punto è proprio qui. Gli anglismi non possono appartenere alla storia della lingua italiana. Le contaminazioni sono altre cose e vanno oltre la lingua stessa. Bene, dunque, fa la Società Dante Alighieri. Proseguiamo nel difendere non solo l’autorevolezza della lingua ma anche la sua autonomia. Dai mezzi di comunicazione alle scuole. Ecco, le scuole devono assumere una loro precisa funzione al di là dei “barbarismi” dei testi scolastici. La lingua italiana non è soltanto una lingua con la quale si comunica. Entriamo nella logica che costituisce il valore di una Nazione.

PIERFRANCO BRUNI

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