di PIERFRANCO BRUNI
La poesia barocca è una dimensione della cultura del Seicento che ha caratterizzato modelli non solo letterari ma anche artistici e filosofici. La cultura meridionale ha trovato nel barocco una testimonianza di forte espressività artistica. Nella poesia ci sono elementi non solo lirici ma anche problematici e filosofici.
Un rappresentante della poesia barocca, in contesto in cui la visione della cultura mediterranea esprimeva valori profondamente etici, è stato certamente Giuseppe Battista. Un poeta e uno scrittore che ha attraversato i limiti del seicento dentro una cultura certamente baracco ma in una civiltà il cui stesso barocco ha sempre vissuto di condizionamenti e di intrecci tra le culture dei vari paesi ma anche eredità di diverse epoche.
Il Regno di Napoli e la sua storia hanno segnato modelli importanti che hanno contraddistinto le civiltà successive. In Battista ci sono elementi significativi di un passaggio epocale la cui interpretazione è dentro i secoli successivi. Uno sguardo caratterizzante e che ha caratterizzato quei processi di confronto tra la parola e l’immagine o meglio tra i linguaggi fatti di parole e i linguaggi fatti di colore e forma.
In fondo il Barocco è ancora oggi una espressione del “limite” tra i codici dell’arte pura e i simboli della parola ricamata grazie ad esperienze che non provengono soltanto dalla letteratura e dall’arte ma soprattutto dall’estetica che si àncora alla filosofia.
Giuseppe Battista è stato letto con particolare attenzione e proposto all'attenzione del grande pubblico da Benedetto Croce. Croce individuò in Giuseppe Battista un "caposcuola" di quella poesia barocca che al valore della religiosità aveva offerto una profonda esperienza etica? Ma Croce misurò i suoi giudizi sul rapporto delle valenze storiche ed estetiche ed usò, in alcune occasioni, il metro della comparazione ideologica proprio in riferimento al Battista.
In fondo Battista fu un poeta che rappresentò non solo la poesia ma una particolare visione della cultura del Sud. Mario Sechi in un saggio di qualche decennio fa parlò di Battista collocando in un contesto di "ideologia letteraria".
Battista non è un poeta (e un intellettuale con tutte le sue specificazioni) "provinciale". Va oltre. Partecipa attivamente ai processi culturali che si innescano in quel Seicento napoletano. In fondo, culturalmente, pur essendo nato in Puglia, resta per formazione un "napoletano". Se si vuole, forse, anche distante da Giovan Battista Marino.
Una sottolineatura di Sechi, in questa atmosfera, la dice lunga: "Ad un'esemplare distanza dal Marino si colloca l''estremismo' di Giuseppe Battista, poeta meridionale di piene Seicento, che opera all'interno della Weltanschaung barocca e con i soli strumenti culturali da essa offerti, un radicale rovesciamento dei suoi fondamenti ideologici.
Non soltanto - per restare sul piano delle constatazioni più agevoli - la vena sensuale - descrittiva (così importante per i marinisti delle prime generazioni) si inaridisce nei suoi versi a tutto vantaggio di una rigorosa tensione morale, capace di subordinare a sé la tradizionale varietà dei temi e dei materiali poetabili; ma la stessa poetica della meraviglia svincolata dalle sue originarie destinazioni politiche - culturali (la battaglia per la leardership europea, la rivendicazione di un agibile spazio storico per il moderno intellettuale), e di conseguenza privata del suo implicito valore di rottura (l'antiregolismo, la mercificazione della letteratura e il risolutivo appello al pubblico), finisce per adeguarsi ad un tessuto ideologico estraneo, di altra origine e di altro segno, e per omogeneizzarne la singole componenti in un prevalente impegno di analisi sulle condizioni della 'poesia' contemporanea" (Mario Sechi, in "La Rassegna della letteratura italiana", N. 1-2, gennaio - Agosto 1971).
I temi trattati hanno, tuttora, una forte incisione sul piano dell'attualità del dibattito. Anche allora, in quel Seicento napoletano e meridionale, Battista diventava una figura preminente. Non ci fu, comunque, soltanto il poeta a determinare il suo ruolo. Ma la sua presenza è imponente sul piano di una dialettica intellettuale che campeggiava in quella temperie.
La comparazione necessaria è un gioco di specchi tra la poesia barocca italiana e quella spagnola e francese. Perché proprio in questa triangolarità, tutta europea, che il Barocco trova la sua maggiore elevazione anche se la Spagna riveste una centralità fondante.
Ma chi era Giuseppe Battista? Giuseppe Battista, il poeta "secentista" - barocco - grottagliese - napoletano - avellinese (di una Puglia barocca e forse anche decadente ma profondamente radicata in un profilo religioso che diventava una proposta progettuale sul piano etico e formativo e di una Napoli fedele agli "Oziosi"), nato nel 1610 (a Grottaglie, in provincia di Taranto, in pieno contesto ceramico - terrigno mediterraneo) era, in realtà, un caposcuola in quel Seicento che si apriva ad un rinnovamento delle arti.
Il poeta Giuseppe Battista fu un caposcuola. Anzi, un "capo" A sottoscrivere questa cesellatura fu Benedetto Croce, come si è già detto, (campano come si considerava, in fondo, campano anche il Battista) ponendolo all'attenzione di una comparazione critica non indifferente. Accanto a questa comparazione il profilo di una tensione letteraria - esistenziale diventa ricerca e invito anche morale.
Fu lo stesso Benedetto Croce a porre sulla scena una poetessa della vicina Lucania: Isabella Morra, che visse in anni precedenti ma il cui contesto poetico è completamente diverso rispetto al Battista anche se parlando di Mediterraneità poetica "moderna" i due profili andrebbero certamente riletti e riproposti sul piano culturale.
Ebbene, Giuseppe Battista è certamente un poeta che si inserisce nel quadro storico del Seicento ma le sue proiezioni in termini lirici si sono ascoltati, soprattutto in una eredità religiosa, sino al secolo Decimonono. (Significativi sono, tra i vari scritti sul Battista pubblicati in Puglia, le riflessioni di P. Marti del 1903 e di M. Rigillo del 1914 su "Rassegna Pugliese" il primo e "Apulia" il secondo, oltre al saggio di Girolamo Mariella del 1995, dove è possibile recuperare altri riscontri bibliografici, nel quale è tracciato un profilo storico - biografico).
Croce lo indica proprio come un caposcuola. Si pensi certamente a quelle poesie dedicate al Santo Francesco di Paola ma oltre le sottolineature poetiche i suoi scritti in prosa sono un tracciato tangibile di un processo che non è solo un dettato letterario ma anche politico. Battista conosceva bene, proprio per la sua formazione, l'ironia nel linguaggio politico.
Croce ci offre, tra i suoi scritti su Battista, questa significativa cesellatura: "Non solo il Marino fu caposcuola di poesia in quel secolo, ma altri che parvero già rispondenti al crescente bisogno di 'novità', come, in quella sorta di 'secentismo del secentismo' che fiorì nella seconda metà del secolo, Giuseppe Battista e Giuseppe Artale, l'uno capo, l'altro sottocaposcuola". Un'indicazione abbastanza precisa e anche rigorosa dal punto di vista della critica letteraria.
Ma ci sono altri metri di misura del Croce che sottolineano una contraddizione di fondo che pone lo stesso Barocco come “movimento” in esercitazione costante e in una ambiguità artistica.
Nella sua “Storia dell’età barocca in Italia”, edizione del 1929, si legge: “…il barocco è una sorta di brutto artistico, e, come tale non è niente di artistico, ma anzi, al contrario, qualcosa di diverso dell’arte…”. Sottolineatura che riporteremo anche in seguito per una più definitiva contestualizzazione. Ma è necessaria tale sottolineatura anche perché in Croce il barocco, per restare al testo già citato, viene ad essere considerato come “un peccato estetico”, anzi “un peccato umano; e universale e perpetuo”.
E proprio in virtù di un rapporto tra letteratura e manifestazioni di impegno etico Giuseppe Battista si "diverte" a giocare sul termine di menzogna. La menzogna come espressione anche di natura politica oltre a diventare uno strumento di mascheramento esistenziale. Tanto che elogiò la menzogna. Ma la menzogna come modello di interpretazione delle civiltà.
Il concetto di Mediterraneo trova in Battista un interprete moderno. Senza correre a metafore Battista sostiene: "Le nazioni più da noi rimote furono bugiarde. Degli egiziani disse Alessandro Napoletano: 'presso gli egiziani non c'è limite al mentire, e totale è l'impunità quando si mente'. I greci, continua sempre Battista, perché mancano di fede, mancano di verità; perché la perfidia s'appoggia su la bugia. I candiotti furono celebri per le menzogne, tanto che erano in bocca di tutti: 'Cretenses mendaces'".
Battista, il canonico, un poeta che faceva parte dell'Accademia napoletana degli Oziosi. (Muore proprio a Napoli il 1675). Rivestiva una carica importante, ovvero era censore della lingua volgare e latina. Ma amava i paradossi. E non disdegnava le utopie. Forse anche per questo oggi una sua rilettura è necessaria partendo da alcuni scritti meno conosciuti o addirittura non conosciuti. Si ricorda una polemica esplosa tre anni prima della sua morte in riferimento alla sua poesia. Trovò delle "opposizioni" sulla sua poesia proprio nella sua terra natìa.
E.N. Girardi nel Dizionario della Treccani così la racconta: "il poeta grottagliese D. Giovanni Cicinelli aveva composto una Censura del parlar moderno, Napoli 1672, contro i traslati e lo stile turgido degli scrittori contemporanei e specialmente del Battista. Questi, credendo che la censura fosse opera di Federico Meninni, scrisse, o, come vuole il Pedio, fece scrivere da un amico, contro il gravinese, gli Affetti caritativi di N.N. (Padova s.d.), suscitando prima una Risposta del Sig. F. Meninni agli Affetti caritativi del petulante ludimagistro G. Battista (stampata falsamente in Padova s.d.) e poi, anonimi, ma dello stesso Mennini, i Furti svelati nelle poesie meliche e negli epigrammi di G.B. (s.n.t.). Contro il Meninni si mossero gli amici del B., capeggiati dal principe Caracciolo; ma il poeta, seguace anche in questo del Marino che aveva interceduto in favore del Murtola, li pregò di perdonare l'avversario".
Lo si ricorda come poeta. Ma fu non solo poeta. Anzi fu il sostenitore di Ovidio, di quell'Ovidio che cantava: "…bugiarda, Creta che sostiene cento città". Ma la storia dei greci, che mancano di verità perché sono privi di fede è una bella e pungente risposta al tempo moderno.
Ovvero, ed è qui che gli intrecci si complicano, "Non è bugiarda l'aria se, tornando da man sinistra, promette felicità a' latini; infelicità a' greci? Quando poi tuona da man destra, prosperi avvenimenti a' greci; calamità a' latini?". E così via di seguito. C'è, in realtà, in Battista un progetto che non è soltanto di natura letteraria. La sua tensione etica va oltre una questione puramente ontologica perché pur studiando e analizzando alcuni importanti percorsi classici si inserisce nella temperie politica del suo tempo.
Da questo punto di vista la sua posizione ha una cruciale attualità. Quando afferma, sempre nel suo scritto sulla menzogna, che "Vedete bugia solenne! Vantavano d'aver il sepolcro di Giove, e pur adoravano Giove come dio immortale. Gli africani, gente come di due facce, così di due lingue". E poi aggiunge ancora: "Ciarloni gli alessandrini. E chi non sa troppo mentisce, chi troppo favella?". Ironia della sorte.
Ebbene, il Seicento barocco, pugliese e napoletano, di Battista pur partendo da elementi che sono profondamente metafisici e lirici (non dovremmo dimenticare la sua poesia melica) resta un Secolo di attraversamento ma anche di deposizioni culturali profondi. Lo stesso Mario Sansone traccia una linea in questa direzione. Si serve di strumenti letterari "colti" che hanno derivazioni ellenica. Si pensi addirittura ai versi di "Democrito ed Eraclito". Ovvero: "Democrito, tu ridi e col tuo riso/tutte le umane cose a scherno prendi/e, sia del Fato o mesto o lieto il viso, con lieto viso ogni accidente attenti".
Poesia morale nel recupero della classicità? Il tema dominante è sì il recupero di una identità classica sia nello spirito poetico che nel modello linguistico ma questa identità è anche una lettura i cui tracciati sono greci e romani. Battista, in fondo, anche in tali contesti non è solo un poeta. E' anche un poeta che intreccia storie e personaggi. Ridefinisce i personaggi attraverso una coloritura linguistica emblematica. Tra l'altro è uno studioso di miti e di poesia. In una lettera a Marcantonio Grifoni scrive: "La Poesia è un furore, che viene spontaneamente. Bisogna aspettarlo".
Battista politico? Ma le metafore sono anche dei paradossi che non disdegnano appunto le utopie. "Se la verità… è madre dell'odio… genitrice dell'affetto sarà la menzogna". Le corti. Il potere. "Se vi dà l'animo di porr nella soglia delle corti il piede, non ferirà altro suono le vostre orecchie che di cacalecci bugiardi. O si fanno encomi al vizio, o invettive alla virtù. Le adulazioni grondano mèle, o vomitano veleno le accuse". Ecco il Battista, dunque, de L'apologia della monzogna.
Il Battista, poeta, è anche in queste sottilissime venature ironiche di natura etica. Non si smentisce. Ma oltre questo affiora, come sottolineato da Sechi, un "ideale stilistico" il cui rapporto fondamentale con la vita è giocato sui riferimenti estetici e su quelli morali che sono verifiche etiche.
Il poeta che "regola" e comprende i processi culturali di un'epoca che si intaglia in una civiltà non solo letteraria e artistica ma anche politica ricca di significati qual è stata la cultura espressa nel Regno di Napoli. Una cultura complessa e articolata che ha sempre trovato nel concetto di Mediterraneo una visione lungimirante di confronto e di incontro.
Pietro Marti nel 1903 così ne parlava: "Un solo poeta salentino ebbe, a mio giudizio, la forza di affermare la propria dignità d'uomo e di artista, e di obbedire alle vergini ispirazioni del cuore: Giuseppe Battista". E poi: "Nell'animo del Battista due sentimenti dominarono sovrani: l'amore di libertà e la coscienza dell'io, che gli veniva in parte dalla natura, in parte dallo studio profondo dei Greci" (in "Rassegna Pugliese", numero 6-7, Luglio 1903).
Il richiamo alla grecità che significa fondamentalmente dimensione mediterranea in Battista si coniuga, in fondo, con una profonda classicità dalla quale deriva anche il sentimento dell'esistere. Questo respiro mediterraneo lo si avverte persino nelle lettere. Si portava dietro la malinconia di una cultura i cui radicamenti erano profondamente legati ad un identità greco - romana.
In una lettera indirizzata a Settimio Foglia si legge: "…I Filosofanti sono emuli di Platone, d'Aristotele. I Poeti d'Omero, di Virgilio. Gli Storici d'Erodoto, di Livio. I Capitani d'Alessandro, di Cesare…".
In una lettera a Giavambattista Manso annota: "Dimoro in Sorrento, che vuold dire nella città delle Sirene. Quindi è che favolosa mi pare l'opinion di coloro che la vogliono edificata da Ulisse, il quale fuggiva le Sirene. Aveva io letto l'amenità di questa regione, ma la credeva colorita da pennelli poetici. Ora che ci sono presente, appena la veggo abbozzata, tanto mi sembra di gran lunga maggiore. E' tutta un giardino, dalle mani di Pomona piantato per delizie della vita umana. Teti non ha recesso, dove goda quiete più tranquilla".
In un'altra lettera indirizzata sempre a Giovambattista Manso si legge: "Così va agli umili sassi d'Itaca Ulisse, come Agamennone alle superbe mura di Micene. Niuno ama la patria perché è grande, ma perché è sua". Il tema omerico è significativo. Questo sentimento della Patria (Itaca non è soltanto un simbolo) è fortemente sentito. Muore lontano dalla propria patria. Muore lontano da quel paese che, secondo il poeta, aveva dato i natali ad Ennio.
Alla sua morte l'accademico Trasformato Donato Antonio Gravillo con grande dolore disse: "Ios. Baptista gutta moritur:/Heu guttis Baptista perit, qui fulserat alter/Sol; Phoebus guttas quo cadat inter habet". Una sua poesia dal titolo: "Conforta se stesso a non temer la morte" si ascolta: "Un viaggio è la vita, ed è sudato,/tutti siam peregrini, ed è felice/chi dell'ospizio pria giugne alle porte".
Il sentimento del “peregrino” è uno dei temi affascinanti che apre una interpretazione completamente estetica che riguarda certamente gran parte delle sue lezioni ma incide in molti tracciati poetici e nelle pagine non trascurabili in cui la menzogna entra nel contesto barocco come fenomeno apologetico o forse come modello di un “elogio” o meglio ancora un elogio alla utopia (o forse follia) della maschera.
Una contemplazione che annienta il presente e sottolinea la dimensione dell'attesa. Da religioso Battista non ha temuto la morte. Con la morte ha sempre stabilito un dialogo. Un passaggio che soltanto la fede può colmare: Ancora nella poesia testè citata si legge si legge negli ultimi tre versi: "Se il sonno altro non è, com'altri dice,/che immagine di morte, ed è sì grato,/più grata del morir sarà la morte".
Battista resta poeta fino in fondo come nella lezione che spesso sottolinea nei suoi saggi Maria Zambrano: “Perso nella luce, errante nella bellezza, povero per eccesso, folle per troppa ragione, peccatore in stato di grazia”.
Credo che questa della Zambrano sia una motivazione con la quale poter rileggere l’opera di Giuseppe Battista, perché soltanto in questi termini è possibile un approccio dentro la contemporaneità.
La sua inquietudine barocca non resta focalizzata, come già si avvertiva, ad un barocchismo ma penetra quei sottosuoli dostoewskjani che toccano le ombre, le luci e gli orizzonti della propria anima. Una religiosità rivelata, comunque, nel tempo mitico vichiano.
È questa l’importanza ma potrebbe anche essere una novità interpretativa, partendo, certamente, dalle poesie per attraversare il suo incontro con la figura di San Francesco di Paola.
Un Battista che è riuscito a focalizzare un rapporto interessante che è quello tra la poesia melica vera e propria e il concetto di assurdo che è molto presente sia nella poesia spagnola che in quella inglese. In una analisi appropriata la comparazione tra il poetico barocco di che attraversa la temperie italiana e quello che si è sviluppato in modo particolare in Spagna diventa fondamentale. Sia in poesia che nelle altre esperienze ed espressioni artistiche.
Ma con Giuseppe Battista va superato il concetto crociano di un Barocco “sorte di brutto artistico” o di “peccato estetico” e va riletto, in una chiava di neoavanguardia, oltre i metodi scolastici antologizzati e meramente didattici e didascalici, grazie ad una comparazione e ad una comprensione di un Barocco come teoria dello sguardo ed estetica dello specchio, ricontestualizzando il dialogo tra la cultura italiana del Seicento e la funzione letterario - artistica ispano – americana e francese
Battista resta certamente un poeta barocco all’interno di una temperie che ha “recitato” la sua trasparente inquietudine sulle traiettorie di un vissuto interiorizzato dentro gli schemi della parola e dell’immagine.
Un barocco senza barocchismi perché aveva nel di dentro, quella sua poesia, la capacità di penetrare processi culturali articolati che hanno toccato il mistero e la religiosità stessa di un mistero che ha bisogno della grazia per diventare espressione fondante qual è stata la scuola di pensiero dalla quale proveniva il poeta grottagliese. Un percorso tra estetica dello sguardo ed estetica delle forme.
Giuseppe Battista e il suo pensiero di una estetica della rappresentazione dell’apparenza come modello di cerniera tra la cultura europeo – mediterranea e l’elaborazione epistemologica sviluppata nel Regno di Napoli. Un tema, questo, che si apre a ventaglio su un poeta dentro l’eredità barocca e “infuturato” nei processi mediterranei. Proprio per questo penetrare il tessuto della triangolarità tra finzione, bellezza e apparenza nel gioco indefinibile ella rappresentatività il tema della maschera diventa una chiave di lettura che interpreta la dimensione onirica della bellezza.
Un Giuseppe Battista moderno nella contemporaneità e attuale nella quotidianità dei processi culturale e dell’essere e del tempo. In virtù di ciò in Battista è possibile rintracciare un Barocco che va oltre la concezione di Benedetto Croce che considerò il Barocco stesso, in alcuni suoi scritti pubblicati, in una forma articolata ma in un corpus unico, come “una sorte di brutto artistico, e, come tale non è niente di artistico, ma anzi, al contrario, qualcosa di diverso dell’arte…”.
Battista grazie alla maschera come concetto definitivo dell’assurdo nella vita recupera il Barocco dell’estetica dell’apparenta e la filtra attraverso all’immaginario creativo che acquisisce una eredità illusoria in quel campo estetico che è fatto della civiltà della rivelazione della parola. Battista visse nell’attraversamento del Rinascimento e della Controriforma in un contesto in cui l’arte assumeva i contorni di una profonda sensualità sia fisica che onirica.
La sua lezione dedicata alla “Apologia della menzogna”, lezione che proviene dalla Giornate Accademiche,, si inserisce chiaramente in un quadro in cui la tradizione diventa fondante ma anche in una dimensione di avvertimento di forme sperimentali e innovative. D’altronde tutto il Barocco, dalla Francia alla Spagna, dall’Italia all’Inghilterra sino ai poeti barocchi del Sud America, non si è specchiato nelle forme di un residuo rinascimentale o di una eredità prettamente classica e greco – latina, ma ha dato in indirizzo profondo di sensualità. Si pensi ad Ignazio di Lajola.
Una dimensione cosmica dove l’accostamento con il cristianesimo diventa una passione di spirito intrecciato sulla sensualità di una fede sia carnale che spirituale. Battista, da laico e da religioso, si è costantemente confrontato con un tessuto filosofico che è quello dell’estetica dell’esistenza, ovvero la ricerca della bellezza, di quella Bellezza – Tempo di natura plotiniana ma soprattutto definita nella bellezza come salvezza enunciata da San Paolo.
Il Barocco spagnolo spesso si è confrontato con le religiosità dei processi culturali e in modo particolare con le varie forme di cristianità. Cosa diversa in Francia dove insistono forme chiaramente sperimentali non solo nei sentimenti e nelle problematiche ma nella struttura linguistica che definisce il verso nella complessità dei linguaggi. In Italia il Barocco è il bello che si vede ma è anche il bello che si nasconde.
Superata la concezione manzoniana del “rozzo insieme ed affettato” il Barocco gioca la sua dimensione onirica su una strategia della teatralità.il teatro non solo come rappresentazione figurata ma soprattutto come visione di un mosaico prettamente onirico.
Il Novecento ha “ristrutturato” sia l’immaginario del barocco e ha recuperato soprattutto la figura di Battista collocandolo sì nel Regno di Napoli ma ridefinito il Barocco non interpretabile soltanto con la geografia italiana ma trasportandolo tra i luoghi e gli strumenti letterari e artistici che si inseriscono nel tessuto europeo. Per dirla tutta non è pensabile parlare di Battista “bloccandolo” a Grottaglie o nel Regno di Napoli perché la sua lezione anticipa festosamente due principì estetici – filosofici che sono l’assurdo e la speranza. Principi molto cari sia a kafka che a Pirandello.
Il Battista moderno nella contemporaneità è quello di una indagine critica che lo colloca nella misura di un incontro con Calderon de la Barca o con Quevedo pur non trascurando sia Marino che Manso ma con il concetto di finzione – menzogna si va molto oltre. In fondo la sua teatralità della sintesi è possibile scorgerla anche nella poesia melica e la bellezza è nello sguardo dei personaggi che giocano interno alla grecità e alla santità.
I due estremi, il mito e il sacro, sono tenuti insieme dalla parvenza metaforica della bellezza che traccia non fili di melodramma ma la sinteticità di un senso tragico, qual è la bugia per sopravvivere, e l’ironia. Nella sua “Poetica” che risale al 1676 evidenzia un tentativo di “libertà dello scrittore” con la “qualificazione fantastica” e con l’immaginario metaforico.
La cosiddetta “lirica concettualistica” non è una espressione della poetica, è, piuttosto, una esperienza che va considerata come lirismo di una certezza che è data, appunto, dalla certezza che la bellezza che non si contrappone alla maschera ma ne è parte integrante.
Qual è il punto nodale di un poeta Barocco come Giuseppe Battista e il suo legame con la poesia di un Seicento che chiama in causa i fenomeni di un linguaggio sperimentale? Un interrogativo che si pone ogni qual volta ci si trova a rileggere il percorso della poesia Barocca che non è rimasta soltanto all’interno di un secolo ma che ha attraversato completamente il suo tempo e la sua contestualità allargandosi su visioni abbastanza motivate culturalmente sino a toccare intrecci con il post – illuminismo e il Romanticismo.
Partiamo da un presupposto centrale. Il Novecento letterario e filosofico come ha considerato il Barocco? Quel Barocco focalizzato intorno al Regno di Napoli?
Due poeti – filosofi italiani hanno tracciato una linea all’interno dei processi estetici – comparativi (tra poesia e filosofia) che rispondono ai nomi di Giordano Bruno (1548 – 1600) e Tommaso Campanella (1568 – 1663).
Quattro poeti spagnoli hanno individuato il futuro del Barocco, ovvero: Calderon de la Barca (1600 – 1681), Gongora (1561 – 1627) Juana Ines de La Cruz (1651 – 1695), Quevedo (1580 – 1645). Uno scrittore sempre spagnolo ha definito nel Barocco nascente il classicismo della follia nell’amore: Cervantes (1547 – 1616). Tre poeti francesi hanno modernizzato il linguaggio dell’aspro lirico manzoniano: Jean De Sponde (1557 – 1594), Pierre De Marbeuf (1596? – 1636?) e Robert Angot de L’Epéronniere (1581 ? – 1640 ?) grazie ad una poesia che potrebbe essere definita teoria della parolibera. Un poeta tedesco: Paul Fleming (1609 – 1640). Un poeta inglese: John Donne (1573 – 1631).
Un quadro articolato dentro il quale la linea Italia, Spagna, Francia trova una sua chiave di lettura tra profilo prettamente estetico – simbolico e quello spirituale – metaforico.
Ebbene, Giuseppe Battista in una antologica del Barocco trova il suo punto di contatto proprio nella “Poetica” che risale al 1676, dove la libertà dello scrittore si enuclea intorno ad un immaginario della bellezza che si fa voce disputante in quel che Leopardi chiamò i piaceri della vanità nel famoso “Dialogo di Plotino e di Porfirio”.
Ecco perché il “classicismo” Barocco di Battista non resta e non può essere considerato soltanto come uno dei tasselli viventi nel Regno di Napoli ma la sua funzione estetico – letteraria ed estetico – filosofico si articola in una stretta comparazione con un Barocco che esce naturalmente dai canoni sia dell’accademia vera e propria sia dal cerchio del legame Marino – Manso per una funzione europeizzante sia del Barocco sia della stessa dimensione poetica battistiana.
Una chiave di lettura che trova conferma nei suoi scritti proprio attraverso l’immaginario della bellezza.
Dimensione poetica? Visione onirica? Sfuggente definizione di una estetica della parola e della filosofia? Un insieme granito che fa di Battista non un poeta soltanto dentro il Barocco ma un indagatore della teatralità del’essere nelle sue sfaccettature in cui la finzione non è l’ambiguo ma il necessario.
L’originalità di questo Battista sembra un gioco perverso ma è un anticipatore di una filosofia che verrà successivamente. Se la sua poesia resta dentro il Barocco la sua lezione sull’estetica della “apologia” porta il Barocco del Regno di Napoli a confrontarsi con i secoli futuri.