Archivio mensile : Febbraio 2014

Consumi culturali: Italia e Svizzera a confronto

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Qualche giorno fa la Rete Due della RSI ha messo in onda una breve presentazione del consumo culturale in Italia e in Svizzera negli ultimi anni. Trattandosi di un tema e di un confronto molto interessanti, li ripropongo entrambi ai lettori di questa rubrica, avvertendoli tuttavia che i confronti in generale e in campo culturale in particolare sono sempre estremamente difficili per cui occorre molta prudenza nel trarre eventuali conclusioni.

Rapporto di Federculture

Già nel 2009 avevo trattato questo tema, ma non intendo qui aggiornare i dati di allora, anche perché è probabile che i metodi di rilevazione siano nel frattempo cambiati e i risultati ottenuti non siano più comparabili. Trovo invece più utile osservare quanto la crisi di questi anni abbia inciso nei consumi culturali degli italiani e degli svizzeri e quanto sia cresciuta o diminuita nelle istituzioni e nel privato la consapevolezza della cultura come fattore di sviluppo.

La Rete Due della RSI deve aver preso lo spunto per l’emissione dalla recente presentazione a Roma del «Rapporto Annuale Federculture 2013», una pubblicazione che fotografa i principali consumi culturali degli italiani, ma anche le spese destinate dalle amministrazioni pubbliche alla cultura.

Il conduttore della trasmissione, per introdurre il tema, ha citato pochi risultati ma alquanto significativi della «realtà disastrosa» italiana: «Sempre di più gli italiani rinunciano alla cultura. Netti i segnali della crisi: in aumento gli italiani che non si dedicano alla cultura…, in diminuzione i lettori di libri … in diminuzione anche gli investimenti pubblici nel settore… Insomma, l’Italia è nelle ultime posizioni in Europa».

Per un breve commento è stato interpellato il direttore di Federculture dott. Claudio Bocci, il quale non ha esitato a dare un giudizio «molto critico» della situazione, alla luce non solo dei risultati, ma anche dei comportamenti del potere pubblico. La grave crisi economica che il Paese sta vivendo, ha infatti indotto non solo i privati ma anche le amministrazioni pubbliche a ridurre drasticamente le spese per la cultura. Nel bilancio dello Stato la riduzione è stata negli ultimi dieci anni di circa il 40 per cento. Il bilancio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali è stato ridotto del 27%. La spesa dello Stato per la cultura è tra le più basse d’Europa: lo 0,11% del PIL (prodotto interno lordo).

Italiani penultimi in Europa

Nel 2012, si legge nel Rapporto, dopo un lungo periodo di crescita durato oltre dieci anni, la spesa per «cultura e ricreazione» delle famiglie italiane ha subito un significativo calo: -4,4%. Nell’arco dei dieci anni precedenti, dal 2002 al 2011, la spesa culturale degli italiani era cresciuta del 25,4%.

Di pari passo con la spesa, nel 2012 è crollato anche il consumo culturale, in tutti i settori: teatro (-8,2%), cinema (-7,3%), musei e mostre (-5,7%), concerti di musica classica (-22,8%), altri concerti di musica (-8,7%), siti archeologici e monumenti (-7,9%), partecipazione culturale (-11,8%).

In termini di spesa delle famiglie e di consumi, si allungano le distanze con l’Europa. L’Italia è al di sotto della media Ue di spesa in cultura (8,9%) e tra gli ultimi in classifica prima solo di Grecia, Bulgaria, Romania e pochi altri. Ad esempio, sono solo 28 su cento gli italiani che visitano un museo all’anno, contro i 52 inglesi, e solo il 46% degli italiani legge un libro l’anno mentre lo fanno il 58,7% degli spagnoli e addirittura il 70% dei francesi.

Spesa pubblica in diminuzione

L'Italia è al 26° posto, cioè penultimo, tra i Paesi dell'Unione Europea rispetto alla spesa pubblica per istruzione e formazione (appena il 4,2% del PIL, contro una media europea del 5,3%). La strategia Europa 2020 prevede il 40% di laureati tra i 30 e i 40 anni: la media UE è vicina al 35% mentre in Italia è solo del 20%. Il numero degli immatricolati degli atenei italiani è in costante diminuzione: in dieci anni gli iscritti alle università sono diminuiti del 15%, negli ultimi venti anni addirittura del 25%.

Secondo Piero Fassino, presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), in Italia è diffusa l’idea che la cultura è un bene prezioso che ti puoi permettere quando ci sono tempi di vacche grasse, ma è il primo ad essere ridotto quando è tempo di vacche magre. Eppure, ha detto ancora Fassino alla presentazione del Rapporto di Federculture 2013, dovrebbe essere chiaro a tutti che «la cultura è un fattore costitutivo dello sviluppo, non aggiuntivo». Evidentemente tra il dire e il fare la distanza è enorme. Le conseguenze sono però gravi e allarmanti, perché, oltretutto, il cattivo esempio dato dal pubblico è seguito anche dal privato.

Responsabilità dei media

Da mesi, se non da anni, i media italiani mettono al centro dell’informazione lo spettacolo politico (talvolta persino disgustoso, come di recente alla Camera dei deputati) e il crescente disagio sociale, ma non sono in grado di metterli in relazione e di individuarne le cause profonde.

Nessuno sembra avere il coraggio di stimolare la vera democrazia partendo dal basso (responsabilità individuali), di additare ideali e valori per far crescere il Paese, di valorizzare la professionalità, l’intraprendenza, la competitività, lo studio, la formazione continua, la cultura. Nonostante gli scarsi risultati a livello internazionale del sistema formativo Italia, chi davvero si sta preoccupando della scarsa produttività (in termini di ricerca, brevetti, studi di punta) delle università italiane e della mediocre formazione scolastica dei quindicenni? Chi parla ancora di scuola, di meritocrazia, di responsabilità?

Credo che l’Italia ritroverà la sua anima e la considerazione in Europa e nel mondo solo quando avrà rimesso al centro dei suoi interessi la formazione e la cultura, condizioni indispensabili di sviluppo e di prosperità.

Consumi culturali in Svizzera

La Svizzera ha superato la crisi di questi ultimi anni certamente meglio dei Paesi vicini. Ciononostante anche in questo Paese «fortunato» (come direbbe ancora oggi Denis de Rougemont) i consumi culturali sono leggermente calati, ma restano pur sempre molto elevati nel loro insieme.

La spesa per la cultura si è mantenuta al livello ragguardevole di oltre 270 franchi al mese per famiglia. Ovviamente la pratica di attività culturali o la loro fruizione aumentano o diminuiscono parallelamente al reddito delle famiglie e, in maniera ancora più netta, al livello di formazione. Essi vanno considerati comunque su scala internazionale piuttosto elevati.

Due terzi della popolazione della Svizzera si reca regolarmente a concerti e proiezioni cinematografiche, visita città storiche, musei ed esposizioni. Anche le biblioteche, i teatri e i festival riscuotono un buon successo di pubblico.

Nel 2011 ogni famiglia ha speso mediamente circa 150 franchi al mese nel settore audiovisivo (acquisti e abbonamenti): televisori, apparecchi radiofonici e acustici, computer e Internet, dischi, DVD, cinema, ecc.; 53 fr. per giornali e periodici, libri e stampati vari; 18 fr. per teatri e concerti; 11 fr. per corsi di musica e di danza; 5 fr. per visite a musei, mostre, biblioteche e simili; ecc. Internet, che permette di accedere a una serie di media e contenuti culturali, viene utilizzato ormai dall’80% della popolazione.

Collaborazione tra pubblico e privato

Il fatto che la spesa per la cultura e il tempo libero delle famiglie sia elevata sta ad indicare non solo un diffuso benessere che consente senza difficoltà di destinare una parte delle disponibilità finanziarie ad attività culturali e al godimento di beni e servizi culturali, ma anche quanto la cultura in senso ampio sia percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione come un valore da conservare e sviluppare. Quanto detto da Fassino, ma poco realizzato in Italia, in questo Paese è una convinzione diffusa tanto nel pubblico che ne privato: la cultura è un fattore costitutivo dello sviluppo.

Lo Stato (Confederazione, Cantoni e Comuni) è molto impegnato in questo settore considerato basilare per le sfide globali che attendono la piccola Svizzera. La cultura e la formazione, sono infatti i presupposti per poter spingere la ricerca e l’innovazione ai massimi livelli, in parte già raggiunti da molte aziende svizzere. Occorre pertanto garantire loro condizioni possibilmente ottimali, dalla scolarità obbligatoria alla formazione universitaria e postuniversitaria, senza trascurare per nulla la formazione professionale, un campo in cui pubblico e privato collaborano intensamente.

Il 31 gennaio scorso, nel corso della cerimonia di premiazione di circa 160 giovani professionisti che si sono distinti nei campionati svizzeri e mondiali delle professioni del 2013, il consigliere federale Johann N. Schneider-Ammann, capo del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca ha tenuto a sottolineare che se la Svizzera intende rimanere tra i primi Paesi al mondo nel settore della formazione, della ricerca e dell’innovazione, deve continuare ad offrire ai giovani percorsi formativi vari e ben combinati, orientati alla ricerca di punta a alla promozione dell’innovazione. Il ministro della formazione ha inoltre precisato che «per far mantenere florida la nostra economia servono talenti a tutti i livelli».

Giovanni Longu
Berna, 5 febbraio 2014

Eccellenze di Calabria: Quando la seta era un prodotto principe.

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Quando accordi la tua voce di sirena
al suono delle fila e di cannelli
sembri una bella maga che incatena
gli amanti con un fil de suoi capelli.
Tra quelle fila ahimè, l’anima mia
Al par della tua spola, or viene, or va,
e vi rimane presa nell’armonia.
di quel dolce tricche, tricche, tra…”

E' Vincenzo Padula a parlare in questi versi citati in calce, il quale ha esaltato il lavoro al telaio per la produzione della seta Calabrese. Paragonando la donna di Calabria ad una bella maga che intesse i fili a quel dolce suono dell'attrezzo. Comincerò così a narrare l'attività serica di Calabria, fiore all'occhiello della Calabria Ottocentesca.

Il baco da seta proveniente dalla Cina fu portato a noi dai bizantini, attecchì bene sulle rive delle fiumare calabresi. Le piane alluvionali accanto ai letti delle fiumare si riempirono di alberi di gelso e le sue foglie diedero il nutrimento principe ai bachi.

Lo sviluppo della gelsicoltura ebbe inizio con l’introduzione del gelso bianco da parte dei Bizantini che lo portarono in Calabria; prima di allora si conosceva solo il gelso nero poco adatto all’allevamento dei bachi.

A Catanzaro sorse così un centro di raccolta di tutta la produzione calabrese e le sete di Catanzaro vestirono i ricchi di mezzo mondo. La città di Catanzaro effettivamente fu il principale centro della regione dove quest’arte si diffuse, conferendo alla città stessa ricchezza e prestigio e siamo solo nell'800.

Si produceva notevole quantità di tessuto damascato diffuso dalla Siria (Damasco) da cui il nome stesso deriva. Ancora particolarmente importante a Cortale era l'arte della seta grezza per farne abiti da donna usando i colori della tradizione calabrese che sono il rosso, il verde, l’azzurro, il giallo-oro.

L’ allevamento del baco da seta e la produzione dei bozzoli aveva carattere familiare: le allevatrici acquistavano le uova del baco e le tenevano al caldo aspettando che i bacolini venissero fuori dal guscio, iniziando così la loro breve esistenza.

Altre invece compravano i neonati di baco e li nutrivano con foglie di gelso triturate, poi li collocavano nei cosiddetti cannizzi che erano dei graticci di canne a più piani. La seta Calabrese era effettivamente di qualità eccelsa ed invase i mercati europei facendo scuola ad altre nazioni europee che si sentivano leader nel settore.

Intanto le richieste Calabresi aumentavano e divenne uno dei pilastri su cui poggiava la nostra economia, questo fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il massimo sviluppo della seta si ebbe nel Settecento.

A Catanzaro si contavano settemila setaioli e mille telai. Si producevano drappi, damaschi e broccati apprezzati in tutta Europa. Tante  però per la delizia del lettore furono le leggende che circolavano oralmente sulla produzione serica calabrese ma in questo ambiente e per dovere di studio a noi le leggende, interessano poco.

Il grande Imperatore Federico II di Svevia fu infatti accanito difensore di quest'arte. Unico e solo documento certo riscontrato in tale viaggio  è un rogito notarile citato, quale testimonianza  certa, dallo storico e studioso francese  Andrè Guillon, risalente al 1050 nel quale si cita:”fra i beni della curia metropolita reggina figura un campo di migliaia di gelsi”.

Nella provincia di Reggio il primo imput  alla seta fu dato dagli Ebrei, ma ben presto si aprirono contese tra Genovesi e Lucchesi per il monopolio del prodotto. Spingendo così nel 1511 un’ordinanza del re Ferdinando di Aragona, che li costrinse ad abbandonare il nostro paese. Infatti, Reggio poteva esportare, quasi, soltanto seta in pagamento di ciò che importava e poiché non tutti accettavano il pagamento in seta, non poteva sfuggire alla pesante mediazione messinese che deteneva la chiave dell’esportazione.

In quegli anni a Reggio si era sviluppata una monocultura in quanto la seta da sola bastava a pagare tutto.
Essa infatti “…rappresentava per Reggio Calabria una specie di eldorado”.
Da Reggio la lavorazione del prodotto si sparse fino a Villa San Giovanni dove il Grimaldi fonda una nota filanda che produceva tessuti di ottima fattura nel 1790.

Solo nel 1863 in tutta la Calabria si enumerarono 120 filande effettivamente la storia ha parlato chiaro. A Cosenza la seta si propagò nella valle del Crati, dove la coltivazione del baco da seta costituiva il principale sostentamento della povera gente. Centri importanti di lavorazione furono: Montalto, Bisignano, Altomonte,Castrovillari e Longobucco.

Concederò al gentile lettore accenni di storia per difendere una terra bistratta da false fonti soprattutto nel periodo ottocentesco che rappresenta un buco nero della storia. La tradizione calabrese prevedeva inoltre che i damaschi più preziosi siano stesi ai balconi delle case padronali durante le processioni (usanza ttutt'oggi viva).

Di grande pregio storico ed artistico i damaschi antichi di proprietà della Basilica dell’Immacolata di Catanzaro. Nel ’700 la maggiore richiesta di filato era legata alla nascente industria tessile che si evolveva in continuazione con macchinari sempre più sofisticati: il filatoio ad acqua,la macchina di Jenny, il Mule etc.All’inizio ’800 l’energia idraulica veniva utilizzata su vasta scala, per poi, successivamente, passare alla macchina a vapore.

Dalle macchine per filare in legno si giungeva a quelle di ghisa e, infine, a quelle automatiche in acciaio. Oggi questi manufatti in seta sono prodotti per realizzare coperte, tessuti d’arredo,ornamenti e paramenti sacri, scialli, biancheria (tovagliato, lenzuola, asciugamani). 

La decadenza dell’arte della seta in Calabria fu determinata soprattutto dal monopolio vessatorio che il governo Italiano aveva cominciato ad esercitare su di essa che impedì ogni progresso, e mentre al Nord la seta veniva sempre più valorizzata al Sud rimase allo stato primitivo per cui le sete calabresi persero prestigio.

A ciò si aggiunsero altri fattori, quali il sempre più difficile allevamento del baco a causa della carenza di manodopera, di varie epidemie e di sconvolgenti terremoti, così che la bellissima arte della seta divenne un ricordo lontano. Oggi rimane solo qualche rudere di filanda e qualche ricordo nella mente dei nostri nonni.

Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura CDS
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.

DALLA CALABRIA ALL’AMERICA

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L'anno scorso è nata La Guarimba, un gruppo di ventenni che ha riparato e riaperto un vecchio cinema abbandonato ad Amantea, un paesino della Calabria. Il tutto per organizzare la prima edizione di un festival di cortometraggi. Sotto lo slogan "Il cinema alla gente e la gente al cinema" hanno portato in quella comunità persone di tutto il mondo e hanno avuto come Presidente della giuria lo spagnolo nominato agli Oscar Nacho Vigalondo.

Ma quest'avventura non finisce lì. La seconda edizione del festival è già partita con la apertura delle iscrizioni per cortometraggi di fiction, animazione e documentario; nel frattempo la troupe di making of sta lavorando in un documentario girato nel festival e parla del cinema come atto di resistenza; e a febbraio La Guarimba se ne va in America, invitata dalla Duke University al North Carolina dove parleranno della storia del festival, del modello di comunicazione e organizzazione, proietteranno i vincitori ed esporranno le 30 locandine fatte da artisti di tutto il mondo, e così riusciranno a portare la Calabria in America e l'America in Calabria.

Sperano di incontrare alla comunità calabrese fuori l'Italia per avvicinare i due popoli facendo più eventi in altre istituzioni e trovare sponsors che li vogliano aiutare per continuare ad arricchire con cultura calabrese il mondo e continuare l'impatto positivo dentro la regione.

Dopo il successo de festival, i guarimberos hanno portato la storia del festival a Milano, a Lecce, in Armenia, a Cipro, lavorando insieme ad altre associazioni.

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Giulio Vita
La Guarimba International Film Festival

DALLA CALABRIA ALL’AMERICA

L'anno scorso è nata La Guarimba, un gruppo di ventenni che ha riparato e riaperto un vecchio cinema abbandonato ad Amantea, un paesino della Calabria. Il tutto per organizzare la prima edizione di un festival di cortometraggi. Sotto lo slogan "Il cinema alla gente e la gente al cinema" hanno portato in quella comunità persone…
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Quando Goethe in visita alla Capitale Partenopea osannava il riciclaggio dei rifiuti.

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Goethe dopo avere viaggiato in lungo e in largo per l’Italia, nel 1787 ritorna a Napoli per una seconda visita.  Spirito grandissimo e superiore, aguzza la vista e con animo indagatore si mischia tra il popolo partenopeo.

La Napoli della fine del 1700, quella che ci racconterà il Goethe conta cinquecentomila abitanti e agli occhi di Goethe Napoli appare una delle città più pulite d'Italia, più di Venezia, Roma e Palermo la cui sporcizia, abbandonata lungo le strade, non sfugge agli occhi del poeta.

Il consumo di verdura degli odierni napoletani è ancora oggi alto, e alta è la loro produzione procapite di umido ( torsoli e foglie di cavolfiori, dei broccoli, dei carciofi, dei cavoli dell'insalata, dell'aglio...) e la campagna che circonda Napoli, nonostante discariche abusive e non, stoccaggi di ecoballe, cementificazione legale e abusiva è ancora un immenso orto.

La Napoli che Goethe ha conosciuto ricicla tutto fino all'inverosimile e questa capacità di riciclare, che i tragici roghi di rifiuti dei giorni nostri ci dicono forse irrimediabilmente perduta, si traduce in una vera ricchezza collettiva.Non posso omettere in questo discorso quel che il Goethe disse di una delle menti più illuminate il Filangeri :”Debbo darvi qualche breve ragguaglio di carattere generale circa un uomo egregio che ho conosciuto in questi giorni: il cavalier Filangieri, noto per il suo libro sulle legislazioni. Egli fa parte di quei giovani degni di stima che hanno di mira la felicità degli uomini, non disgiunta da un'onorevole libertà.

Dal suo contegno traspare il decoro del soldato, del cavaliere e dell'uomo di mondo, temperato però dall'espressione d'un delicato senso morale diffuso in tutto il suo essere e che emana bellamente dalla parola e dal gesto. È profondamente rispettoso del suo re e del reame, benché non approvi tutto ciò che vi accade; condivide però i timori riguardanti Giuseppe II.

L'immagine d'un despota, pur se aleggi soltanto nell'aria, impaurisce gli uomini dabbene. Mi parlò con grande schiettezza dei motivi per i quali si ha ragione di temerlo a Napoli. Discorre volentieri di Montesquieu, di Beccaria e anche delle proprie opere, sempre nel medesimo spirito di buona volontà e con vivo slancio giovanile per il ben fare. Non credo abbia ancora toccato la quarantina.

Descrive inoltre facchini, marinai, pescatori, bambini e “spazzini” nel loro modo di lavorare, così diverso dal lavoro dei tedeschi ma non per questo meno produttivo e laborioso.

Chiosa così il nostro viaggiatore sui napoletani: “Un uomo povero, che a noi sembra un miserabile, può in questi paesi non solo soddisfare i suoi bisogni più urgenti e più necessari, ma anche godersi beatamente la vita; un così detto lazzarone napoletano potrebbe infischiarsi del posto di viceré in Norvegia e rifiutare l’onore che gli farebbe l’imperatrice di Russia nominandolo governatore in Siberia [...] “.

Tuttavia la cosa che balza di più agli occhi del lettore è la descrizione chiara ed intelligente del territorio di Napoli:”Qui, un uomo con l’abito a brandelli non è ancora un uomo nudo; colui che non ha una casa sua né una casa a pigione, ma che l’estate passa le notti sotto qualche grondaia o sulla soglia dei palazzi e delle chiese o nei portici pubblici, o che, se il tempo è cattivo, trova da coricarsi in qualche luogo pagando qualche spicciolo, non si può dire per questo un reietto o un miserabile. Se si considera quale enorme quantità di alimenti offre questo mare pescoso, dei cui prodotti la gente deve nutrirsi per obbligo ecclesiastico due o tre giorni alla settimana; la gran varietà di frutta e di verdura che si trova in sovrabbondanza tutto l’anno; come una provincia intorno a Napoli ha meritato il suo nome di Terra di Lavoro (che si deve intendere: “terra fatta per essere coltivata” non “terra di lavoro, o di fatica”) e come tutta la regione porta da secoli il titolo onorifico di Campania felice, si comprenderà bene quanto la vita in questi paesi sia felice.

Andando avanti in quello che è il suo lavoro di indagatore, Goethe osserva quanto a Napoli i rifiuti sono utili e sono da considerarsi una ricchezza  Lo avevano capito i Napoletani di allora e lo aveva capito persino lo scrittore tedesco Goethe, grande amante dell’Italia e della Sicilia, che così scriveva a Napoli il 27 Maggio 1787: Moltissimi sono coloro – parte di mezza età, parte ancora ragazzi e per lo più vestiti poveramente – che trovano lavoro trasportando le immondizie fuori città a dorso d’animo.

Tutta la campagna che circonda Napoli è un solo giardino d’ortaggi, ed è un godimento vedere le quantità incredibili di legumi che affluiscono nei giorni di mercato, e come gli uomini si dian da fare a riportare subito nei campi l’eccedenza respinta dai cuochi, accelerando in tal modo il circolo produttivo.

Lo spettacoloso consumo di verdura fa si che gran parte dei rifiuti cittadini consista di torsoli e foglie di cavolfiori, broccoli, carciofi, verze, insalate e aglio, e sono rifiuti straordinariamente ricercati.

I due grossi canestri flessibili che gli asini portano appesi al dorso vengono non solo inzeppati fino all’orlo, ma su ciascuno d’essi viene eretto con perizia un cumulo imponente.

Nessun orto può fare a meno dell’asino. Per tutto il giorno un servo, un garzone, a volte il padrone stesso vanno e vengono senza tregua dalla città, che ad ogni ora costituisce una miniera preziosa.

E con quanta cura raccattano lo sterco di cavalli e di muli! A malincuore abbandonano le strade quando si fa buio, e i ricchi che a mezzanotte escono dall’Opera certo non pensano che già prima dello spuntar dell’alba qualcuno si metterà a inseguire diligentemente le tracce dei loro cavalli.

A quanto m’hanno assicurato, se due o tre di questi uomini, di comune accordo, comprano un asino e affittano da un medio possidente un palmo di terra in cui piantar cavoli, in breve tempo, lavorando sodo in questo clima propizio dove la vegetazione cresce inarrestabile, riescono a sviluppare considerevolmente la loro attività.

È quasi imbarazzante oggi parlare di Goethe e del suo libro “Viaggio in Italia”, da cui è tratto questo brano. Oggi che Napoli e la Campania tutta, devono vedersela con l’emergenza rifiuti, e con una situazione umiliante che porta gli abitanti di un intero paese (Terzigno) a protestare e lottare per salvaguardare la zona dall’ombra incombente della discarica.

Purtroppo non tutti i giorni nasce un uomo come Wolfgang Goethe, uno spirito così eccelso e luminoso, così libero e intelligente e soprattutto così profondo da vedere cose al di là delle apparenze, ma sono convinto che ognuno di noi possa apprendere e imparare qualcosa da queste intelligenti e profonde parole.

Il passato come sempre insegna, ma nessuno è disposto a imparare

Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura Cds
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.

Taverna Cz: Mattia Preti e il Museo Civico di Taverna.

Per concludere nel migliore dei modi i festeggiamenti in onore del quarto centenario della nascita del famosissimo pittore di Taverna, conosciuto come "Il Cavaliere Calabrese" , proporrò al gentile viaggiatore calabrese uno scorcio della sua vita e la Pinacoteca a Taverna a lui dedicata. Quello dedicato a Mattia Preti è stato un evento senza precedenti…
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