“Quando accordi la tua voce di sirena
al suono delle fila e di cannelli
sembri una bella maga che incatena
gli amanti con un fil de suoi capelli.
Tra quelle fila ahimè, l’anima mia
Al par della tua spola, or viene, or va,
e vi rimane presa nell’armonia.
di quel dolce tricche, tricche, tra…”
E' Vincenzo Padula a parlare in questi versi citati in calce, il quale ha esaltato il lavoro al telaio per la produzione della seta Calabrese. Paragonando la donna di Calabria ad una bella maga che intesse i fili a quel dolce suono dell'attrezzo. Comincerò così a narrare l'attività serica di Calabria, fiore all'occhiello della Calabria Ottocentesca.
Il baco da seta proveniente dalla Cina fu portato a noi dai bizantini, attecchì bene sulle rive delle fiumare calabresi. Le piane alluvionali accanto ai letti delle fiumare si riempirono di alberi di gelso e le sue foglie diedero il nutrimento principe ai bachi.
Lo sviluppo della gelsicoltura ebbe inizio con l’introduzione del gelso bianco da parte dei Bizantini che lo portarono in Calabria; prima di allora si conosceva solo il gelso nero poco adatto all’allevamento dei bachi.
A Catanzaro sorse così un centro di raccolta di tutta la produzione calabrese e le sete di Catanzaro vestirono i ricchi di mezzo mondo. La città di Catanzaro effettivamente fu il principale centro della regione dove quest’arte si diffuse, conferendo alla città stessa ricchezza e prestigio e siamo solo nell'800.
Si produceva notevole quantità di tessuto damascato diffuso dalla Siria (Damasco) da cui il nome stesso deriva. Ancora particolarmente importante a Cortale era l'arte della seta grezza per farne abiti da donna usando i colori della tradizione calabrese che sono il rosso, il verde, l’azzurro, il giallo-oro.
L’ allevamento del baco da seta e la produzione dei bozzoli aveva carattere familiare: le allevatrici acquistavano le uova del baco e le tenevano al caldo aspettando che i bacolini venissero fuori dal guscio, iniziando così la loro breve esistenza.
Altre invece compravano i neonati di baco e li nutrivano con foglie di gelso triturate, poi li collocavano nei cosiddetti cannizzi che erano dei graticci di canne a più piani. La seta Calabrese era effettivamente di qualità eccelsa ed invase i mercati europei facendo scuola ad altre nazioni europee che si sentivano leader nel settore.
Intanto le richieste Calabresi aumentavano e divenne uno dei pilastri su cui poggiava la nostra economia, questo fino alla Seconda Guerra Mondiale. Il massimo sviluppo della seta si ebbe nel Settecento.
A Catanzaro si contavano settemila setaioli e mille telai. Si producevano drappi, damaschi e broccati apprezzati in tutta Europa. Tante però per la delizia del lettore furono le leggende che circolavano oralmente sulla produzione serica calabrese ma in questo ambiente e per dovere di studio a noi le leggende, interessano poco.
Il grande Imperatore Federico II di Svevia fu infatti accanito difensore di quest'arte. Unico e solo documento certo riscontrato in tale viaggio è un rogito notarile citato, quale testimonianza certa, dallo storico e studioso francese Andrè Guillon, risalente al 1050 nel quale si cita:”fra i beni della curia metropolita reggina figura un campo di migliaia di gelsi”.
Nella provincia di Reggio il primo imput alla seta fu dato dagli Ebrei, ma ben presto si aprirono contese tra Genovesi e Lucchesi per il monopolio del prodotto. Spingendo così nel 1511 un’ordinanza del re Ferdinando di Aragona, che li costrinse ad abbandonare il nostro paese. Infatti, Reggio poteva esportare, quasi, soltanto seta in pagamento di ciò che importava e poiché non tutti accettavano il pagamento in seta, non poteva sfuggire alla pesante mediazione messinese che deteneva la chiave dell’esportazione.
In quegli anni a Reggio si era sviluppata una monocultura in quanto la seta da sola bastava a pagare tutto.
Essa infatti “…rappresentava per Reggio Calabria una specie di eldorado”.Da Reggio la lavorazione del prodotto si sparse fino a Villa San Giovanni dove il Grimaldi fonda una nota filanda che produceva tessuti di ottima fattura nel 1790.
Solo nel 1863 in tutta la Calabria si enumerarono 120 filande effettivamente la storia ha parlato chiaro. A Cosenza la seta si propagò nella valle del Crati, dove la coltivazione del baco da seta costituiva il principale sostentamento della povera gente. Centri importanti di lavorazione furono: Montalto, Bisignano, Altomonte,Castrovillari e Longobucco.
Concederò al gentile lettore accenni di storia per difendere una terra bistratta da false fonti soprattutto nel periodo ottocentesco che rappresenta un buco nero della storia. La tradizione calabrese prevedeva inoltre che i damaschi più preziosi siano stesi ai balconi delle case padronali durante le processioni (usanza ttutt'oggi viva).
Di grande pregio storico ed artistico i damaschi antichi di proprietà della Basilica dell’Immacolata di Catanzaro. Nel ’700 la maggiore richiesta di filato era legata alla nascente industria tessile che si evolveva in continuazione con macchinari sempre più sofisticati: il filatoio ad acqua,la macchina di Jenny, il Mule etc.All’inizio ’800 l’energia idraulica veniva utilizzata su vasta scala, per poi, successivamente, passare alla macchina a vapore.
Dalle macchine per filare in legno si giungeva a quelle di ghisa e, infine, a quelle automatiche in acciaio. Oggi questi manufatti in seta sono prodotti per realizzare coperte, tessuti d’arredo,ornamenti e paramenti sacri, scialli, biancheria (tovagliato, lenzuola, asciugamani).
La decadenza dell’arte della seta in Calabria fu determinata soprattutto dal monopolio vessatorio che il governo Italiano aveva cominciato ad esercitare su di essa che impedì ogni progresso, e mentre al Nord la seta veniva sempre più valorizzata al Sud rimase allo stato primitivo per cui le sete calabresi persero prestigio.
A ciò si aggiunsero altri fattori, quali il sempre più difficile allevamento del baco a causa della carenza di manodopera, di varie epidemie e di sconvolgenti terremoti, così che la bellissima arte della seta divenne un ricordo lontano. Oggi rimane solo qualche rudere di filanda e qualche ricordo nella mente dei nostri nonni.
Maria Lombardo
Consigliere Commissione Cultura CDS
Centro Studi e Ricerche
Comitati Due Sicilie.